Atteggiamento di chiusura

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Una saracinesca chiusa non fa rumore. La perdita di pochi posti di lavoro passa inosservata tra le notizie dei licenziamenti di massa da parte delle grandi aziende, e poi i fallimenti dei negozi ci sembrano un fatto ineluttabile considerata la crisi del piccolo commercio, che non riesce a star dietro ai ritmi imposti da centri commerciali, franchising e catene di negozi.

Nella realtà, la chiusura di un negozio o di una piccola catena a conduzione familiare è ben più grave di quanto sembri: il personale licenziato va a ingrossare le fila dei disoccupati, ma soprattutto offre al mercato del lavoro una professionalità molto specifica, difficile da riconvertire.
Non è l’unico problema: si sottovaluta la “funzione sociale” dei piccoli esercizi, che da sempre forniscono un apporto importante alla vita di una comunità.
Quando un negozio chiude e non arriva un altro a rimpiazzarlo, quella porzione del territorio si svuota: la strada è meno illuminata, il passaggio di persone diminuisce e, di fatto, viene a mancare un presidio discreto del quartiere.
Nei centri abitati, i vuoti lasciati dai punti di aggregazione sono colmati da persone e attività che quasi sempre portano degrado.
Naturalmente, i negozi indipendenti sono l’anello più debole di un settore (quello del commercio) in grave difficoltà.

Non è corretto attribuire i fallimenti alla crisi economica generale: in realtà, il grande freddo portato dalla stretta dei consumi acuisce un problema ormai strutturale.
Una delle ragioni principali che portano alla chiusura delle attività commerciali è legata alla mentalità del consumatore, che attribuisce al prezzo un’importanza preponderante.
Per poter competere nella ferocissima battaglia sul prezzo, le società produttrici hanno agito su diverse variabili: efficienza dell’azienda, abbassamento della qualità delle materie prime o della loro lavorazione e abbattimento dei margini di guadagno.
Quando poi non c’è più stata la possibilità di lavorare su questi aspetti, l’unica azione che poteva ancora dare risultati era la “disintermediazione”, cioè l’eliminazione degli intermediari tra le società produttrici di beni e il cliente finale.

Si è accorciata la filiera, insomma: si salta l’ingrosso e si va direttamente al dettaglio, oppure si aprono catene di negozi di proprietà.
Altri, invece, si organizzano per vendere attraverso internet, approfittando dei progressi fatti su alcuni dei punti critici che rallentavano il commercio elettronico: pagamenti sicuri (anche con carte prepagate), tracciabilità e maggiore velocità delle spedizioni.
Ci sono poi i centri e le gallerie commerciali: sempre di più, troppi.
Per dirla tutta, neppure i negozi all’interno dei centri commerciali se la passano sempre bene: il canone d’affitto è legato all’aspettativa di reddito dell’investimento immobiliare da parte della proprietà e non, come dovrebbe, alla cifra che l’attività può sopportare.

Qualcosa possono fare, i negozi indipendenti, per avere più possibilità di restare in vita.
Si può intervenire sull’aumento della professionalità, soprattutto per quel che riguarda le conoscenze di marketing, vale a dire uno dei gap principali che i negozi indipendenti hanno rispetto al commercio organizzato.

Una strada da percorrere per migliorare la competitività è sicuramente quella della formazione: fidelizzazione del cliente, armonizzazione dell’offerta complessiva dei prodotti offerti, politica di prezzo (anche, non solo), calcolo delle marginalità, esposizione dei prodotti nei negozi sono alcuni dei campi in cui si può migliorare, con spese modeste.

La questione fondamentale, però, rimane la comunicazione all’interno e all’esterno del punto vendita. Utilizzando in modo intelligente i mezzi di comunicazione a basso costo che abbiamo a disposizione, si possono ottenere eccellenti risultati.
Infine, sarebbe importante acquisire o avvalersi di alcune competenze che permettano di comprendere le potenzialità di una certa zona in rapporto a una tipologia di prodotti o di servizi, prima di aprirvi un negozio, riducendo così i casi di tentativi temerari e inevitabilmente destinati al fallimento.
Sul punto della formazione è necessario essere chiari: non è solo un problema di offerta formativa, che esiste e dev’essere potenziata.
Occorre anche una maggiore consapevolezza da parte dei commercianti sul fatto che i margini per una gestione istintiva dell’attività sono finiti: ora si può vincere solo grazie alla professionalità. Ma questo vale per tutti, non solo per il commercio.

 

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