Chi al comando?

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La figura del manager in Italia è spesso guardata con qualche riserva.
Non è raro che questa parola provochi un sopracciglio alzato, un sorrisino o un’occhiata con qualche sottinteso.
Forse è per l’ironia che riserviamo ai termini anglosassoni che riguardano le aziende e il business (appunto).
Sospetto, però, che il manager subisca la concorrenza della più importante figura delle aziende italiane, cioè l’imprenditore, la vera e propria colonna dell’economia italiana che, però, ha spesso il problema della delega: il caso, non raro, dell’imprenditore che vuole avere l’ultima parola su tutto, anche quando non è proprio esperto nella materia, non si sposa bene con un manager che interpreta il suo ruolo con autonomia.

Eppure l’incapacità dell’imprenditore di “spersonalizzare” l’azienda, dotandola al contrario di un’organizzazione basata sulla divisione delle responsabilità, è una delle ragioni per le quali le imprese italiane restano di dimensioni medio-piccole.
Se questo è vero in tempi normali, lo è ancor di più in periodi di forte turbolenza come quelli che stiamo vivendo: è comprensibile che un imprenditore lasci ancora più malvolentieri i comandi, in tutto o in parte.
Anche perché, diciamola tutta, parte della “classe dirigente” che l’Italia ha prodotto negli ultimi decenni, più che guidare un’azienda ha gestito il potere del ruolo.
E non sempre la capacità e la preparazione sono adeguate ad affrontare un mercato che cambia con questi ritmi.

Ma quali sono le caratteristiche che un manager deve avere, per poter aiutare davvero le imprese italiane a sopravvivere alla tempesta e per convincere un imprenditore ad affidargli la propria azienda?
L’elenco è lungo e non proprio originale:

  • visione strategica di medio-lungo periodo (tre anni massimo, poi entriamo nella chiaroveggenza), cioè vedere le cose in prospettiva;
  • abilità nel dare operatività alle strategie, con azioni concrete che permettano la realizzazione di quanto è stato pianificato;
  • capacità di utilizzare la comunicazione sia all’interno dell’azienda, per coinvolgere tutti verso gli obiettivi prefissati, sia verso l’esterno, per valorizzare i punti di forza della società e dei suoi prodotti;
  • cura dei particolari;
  • tensione al risultato.

Queste sono solo alcune tra le più importanti qualità di un manager, ma ne esistono altre due che sono indispensabili per guidare un’azienda italiana e che derivano dallo spessore umano della persona che ha questa grande responsabilità.

La prima è l’empatia: la capacità di sentire, capire e condividere pensieri ed emozioni con gli altri è una qualità sempre importante, perché riuscire a lavorare con le altre persone è decisivo in tutto il mondo.
Le aziende italiane hanno, però, una particolarità che richiede empatia per essere gestita efficacemente. Per la maggior parte delle imprese, infatti, i primi problemi da risolvere sono quelli legati alla famiglia che ne detiene la proprietà: passaggio generazionale, rapporti tra fratelli, doppio organigramma professionale e familiare, sono solo alcuni dei temi tra i quali un manager deve districarsi. Anzi, spesso i problemi aziendali derivano da questi.

Le seconda qualità, strettamente collegata alla prima, è l’autorevolezza, il miglior modo per guidare le persone.
La strada più diretta per essere autorevoli è avere un atteggiamento “maieutico” verso i propri collaboratori.
D’accordo, la parola è orribile, ma il suo significato è bellissimo: in filosofia, maieutica letteralmente significa “l’arte della levatrice” ed è il metodo con cui Socrate voleva “tirar fuori” dall’allievo pensieri assolutamente personali, al contrario di quanti volevano imporre le proprie vedute agli altri.
Ecco, la miglior qualità del manager è saper usare la propria capacità e conoscenza per liberare le energie delle persone che lavorano con lui.

Non si tratta di ascoltare tutti, prima di decidere in modo più o meno fintamente democratico.
Chi ha la responsabilità della guida, manager o imprenditore, deve porsi come obiettivo quello di utilizzare le proprie qualità non solo per trovare una soluzione ai problemi, ma anche per spingere chi lavora con lui, specie se giovane, a dare un contributo personale nella ricerca.
Il vero leader non è quello che vale personalmente più degli altri, ma chi sa valorizzare e mettere i propri collaboratori nella condizione di poter rendere secondo la propria potenzialità.
Se avete una persona così in azienda, tenetevela stretta.

 

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