Servizio vincente

Scarica l’articolo in pdf Scarica pdf

 

Dare del “servo” a qualcuno è un insulto. “Servire” non è tra i verbi che rappresentano i sogni dei giovani, perché per molti il concetto di servizio è collegato a quelli di subordinazione, inferiorità.
Probabilmente, questa percezione negativa contribuisce allo scadimento generale del livello dei “servizi”, pubblici e privati, che purtroppo rileviamo tutti i giorni.

“Servire”, in realtà, è un concetto nobile: significa rendere un cliente soddisfatto dell’intera esperienza di acquisto fatta nella nostra azienda.
Di rado si vende un prodotto senza un servizio collegato, e sempre più spesso è proprio la qualità del servizio a rendere competitive le offerte sul mercato, a tenere l’azienda viva e vitale.

Il discorso non riguarda solo le grandi aziende, ma anche quelle piccole e piccolissime. Un esempio può arrivare da un episodio che mi è accaduto qualche settimana fa.
Una domenica sera, dopo una delle frequenti partite vittoriose della “Pallacanestro Varese”, vado a mangiare una pizza con i miei due figli: una ragazza di 17 anni e un ragazzo di 13. La pizzeria è molto forte sul prodotto: il menù è ampio e fantasioso, gli ingredienti di ottima qualità.
Questo, però, al gestore non basta: vuole che anche il servizio sia ottimo. L’ha deciso non solo per ottenere la soddisfazione dei clienti (che dunque tornano), ma anche per
un altro motivo commerciale: se i tavoli “ruotano” in media tre volte in una sera, il fatturato e l’utile salgono.
Le cameriere sono tutte brave, gentili e rapide, il che testimonia la capacità di chi le ha selezionate e formate. L’obiettivo è far mangiare i clienti nel più breve tempo possibile, quindi il personale apparecchia e sparecchia alla velocità della luce. Caterina, la più giovane delle cameriere, sta apparecchiando il nostro tavolo e, pur nella velocità, sistema un tovagliolo azzurro per padre e figlio e uno rosa per la ragazza. Le chiedo se lo faccia perché così ha deciso o se l’azione sia frutto di un caso, mi risponde che lo fa perché
le sembra “una cosa bella”.
Spesso è nei piccoli particolari, i più semplici, che si nascondono significati complessi. Caterina stava “servendo” una sua quasi coetanea che, quella domenica sera, aveva la fortuna di essere seduta al tavolo, mentre lei doveva lavorare.
Evidentemente ha capito che offrire il servizio migliore possibile è il suo mestiere, e che in un’altra occasione sarebbe toccato a lei ricevere attenzioni.

È evidente ciò che dovrebbe dare un vantaggio competitivo a un’azienda attraverso il servizio: selezione del personale che pone al primo posto il valore della persona,
formazione e organizzazione meticolosa di chi lavora e un sistema d’incentivazione premiante.
Su questa base, però, la differenza la fa il tovagliolo rosa, cioè il tocco personale d’interpretazione della propria professionalità, che si traduce in amore per il proprio lavoro.

Altro episodio, sempre a Varese. Devo acquistare una torta per il compleanno di mia figlia, ma ero di fretta. Non una torta qualsiasi in un giorno qualunque: una “Sacher” il lunedì dopo la “festa della mamma”, quando le pasticcerie sono chiuse o poco assortite. In una delle più famose del centro, trovo una torta al cioccolato che somiglia alla “Sacher”, ma in certi casi i particolari contano: non è quella giusta, però chiedo di metterla da parte lo stesso.
Sara, la gentile signora che mi stava servendo, nota la mia delusione e quando la sera vado a ritirare la torta trovo una sorpresa: facendo un giro di telefonate tra laboratorio e altri punti vendita, mi aveva rintracciato una “Sacher” e l’aveva fatta portare in negozio. Poi mi ha venduto il pane speciale che producono (si chiama “cross selling”) e mi ha avvisato che lo posso trovare anche la domenica (questa è invece “fidelizzazione”). Che dire? Bravissima.

I giovani devono essere aiutati a tornare su questi valori, a partire dal basso per poi scalare le posizioni attraverso le tante piccole azioni che li differenziano dagli altri.
A quanto sembra, se dopo un anno di lavoro nel biglietto da visita non compare la parola “responsabile” – talvolta, solo della sedia in cui si è seduti – significa che non si vale, ma non è così. Responsabili si diventa sul campo, facendo al meglio il proprio lavoro e avendo sempre in mente l’obiettivo più importante per il successo di una qualsiasi
azienda: fare in modo che i clienti tornino, e che ne portino pure altri.
Curare il servizio, in questo senso, fa la differenza.
Se qualche manager non sa come migliorare gli affari della propria attività, magari può andare a far visita a Caterina o a Sara: glielo spiegheranno, oltretutto con un sorriso.

Scarica l’articolo in pdf Scarica pdf